SAGGIO: DIDATTICA DEL SUONO
Approcci didattici all’educazione al suono e alla musica
La didattica musicale è da tempo improntata erroneamente in una classificazione differenziante, alquanto forzata, tra suono e rumore. Dico erroneamente poiché scientificamente il rumore non esiste se non come valenza emotiva che il soggetto percepente ha nel momento in cui riceve all’udito un suono. Affermare l’esistenza del rumore come qualcosa di diverso dal suono o di opposto ad esso è un grave errore. Questa classificazione si basa su una semplificazione e banalizzazione didattica che potrebbe risultare, ad una prima lettura, efficace nella pratica insegnamento/apprendimento dello studio del fenomeno suono ma che, tuttavia, non conduce ad una effettiva conoscenza del fenomeno scientifico stesso. Obiettivo fondamentale della didattica di base dovrebbe essere l’acquisizione di competenze certe, in modo semplice e mai banale, che non dovrebbero successivamente essere destrutturate perché sbagliate. Altrimenti si ha una didattica deviante.
Vediamo cosa dice la scienza acustica.
In natura e nella realtà non esistono suoni per i quali si possa affermare con certezza matematica la regolarità della loro forma d’onda. Non esistono suoni regolari che possano essere prodotti dagli strumenti musicali così come anche il più soave cantico di una creatura non consta di suoni regolari, basta semplicemente osservare la forma dell’onda con gli attuali strumenti tecnologici a disposizione. Solamente in laboratorio e attraverso l’uso dei computer è possibile creare suoni la cui forma d’onda è regolare. Ne consegue, applicando rigorosamente la classificazione didattica suono-rumore teorizzante il rumore come un fenomeno acustico la cui forma d’onda è irregolare, che dovremmo considerare rumore tutto ciò che il nostro orecchio percepisce in maniera differenziata e indifferenziata, indipendentemente dalla fonte sonora, poiché nessuno tra questi suoni è regolare (e, quindi, presenta una forma d’onda regolare) e suoni solamente quelli artificiali prodotti attraverso i mezzi tecnologici. Affrontare in classe una classificazione differenziante suono-rumore del tutto arbitraria contribuisce ad omologare l’orecchio musicale secondo canoni estetici che mal si sposano con la scienza acustica e a limitare in schemi la percezione del mondo sonoro inibendo così lo sviluppo delle aree del cervello relative (musicale e logico-matematica), conseguentemente contrastando la stessa capacità percettiva e creativa dei soggetti in formazione. Non si afferma il falso se diciamo che possiamo tristemente osservare come l’orecchio musicale di massa (inteso come la media delle “intelligenze uditive”) sia veramente scarso oggigiorno…
Sarebbe opportuno, a mio parere, che l’approccio didattico allo studio del suono non fosse improntato sulla discriminazione arbitraria suono-rumore poiché, all’ingresso dei bambini a scuola, non tutti possiedono l’orecchio sonoro sviluppato allo stesso modo (non tutti i bambini hanno avuto precedentemente le stesse esperienze uditive, quindi non hanno la medesima intelligenza uditiva ossia i prerequisiti non sono identici). I bambini si condizionano vicendevolmente e sono facilmente condizionabili. Una classificazione suono-rumore valida per tutti (come spesso si realizza in classe perché così i libri di testo consigliano di fare) contribuisce a rallentare (ed anche ad inibire) lo sviluppo di potenziali bambini talentuosi in musica o in matematica. Il bambino ha già una sua idea di cosa sia il suono e di cosa sia il rumore già dalla nascita… poi arriva a scuola e gli si dice che “questo è un suono e questo è un rumore”… ed è quindi forzatamente costretto a rivedere la sua personale idea di differenza suono-rumore sviluppatasi naturalmente. Differenza che è alla base di scelte in ambito musicale e che determinano nei musicisti il diverso uso della dinamica e dell’agogica ma anche della timbrica, ad esempio, in pratiche compositive ed esecutive/interpretative. La differenza è sempre una ricchezza. Questo tipo di didattica contribuisce a distruggere le differenze andando in una direzione omologante.
Bisogna educare i bambini a sviluppare la propria differenza suono-rumore in maniera naturale nel rispetto di ciascun soggetto in formazione e non inculcare in tutti una differenza standard intesa come media tra i gusti uditivi o musicali delle persone. In tal modo la didattica musicale non migliorerà mai e rimarrà sempre in uno schema “classico”, accettata o rifiutata secondo i casi produrrà anche fenomeni di vera e propria ribellione sociale agli schemi estetici uditivi predefiniti e accettati per buoni come possiamo notare nell’uso-abuso di suono che fanno gli adolescenti e i giovani d’oggi.
Sarebbe opportuno in classe spiegare prima di tutto ai bambini che ogni cosa che si ode è suono. Suoni naturali e suoni artificiali (fra i quali anche quelli prodotti dagli strumenti musicali che spesso, per comodità, vengono classificati in una categoria a parte) sono fenomeni acustici percepiti dal nostro organo di senso deputato all’ascolto ossia l’udito. Il suono può variare in intensità (forte-debole), in acutezza (grave-acuto) e nel timbro (la caratteristica che dipende dalla fonte sonora e dal mezzo di diffusione del suono medesimo). La sensibilità di un orecchio umano non è spalmata uniformemente. Ogni individuo possiede personali range di tolleranza/intolleranza all’intensità così come all’acutezza e al timbro di un determinato suono. Ne consegue che un suono può essere percepito dal medesimo soggetto come gradevole se all’interno di un range di tolleranza relativo alla sua intensità o alla sua acutezza e come sgradevole se all’esterno di tale range. Un bambino (ma anche un adulto) abituato a vivere in condizioni ambientali caratterizzate da un tappeto sonoro a basso contenuto di decibel sarà meno tollerante verso suoni di una certa intensità. Al contrario. In condizioni ambientali che presentano un tappeto sonoro ad alto contenuto di decibel (spesso giustamente si parla di inquinamento acustico) l’individuo sarà maggiormente tollerante all’intensità. E’ l’ambiente di vita (familiare e sociale) di un individuo in formazione o già formato a determinare tali range di tolleranza/intolleranza all’intensità e che contribuisce a strutturare l’“orecchio”. Il nostro organo uditivo in un certo senso si “adatta” all’ambiente. La stessa membrana timpanica, per fare un esempio, non è identica per ciascun individuo ma può sviluppare diversamente per ciascuno capacità elastiche proprie per reagire agli eccessivi sbalzi di intensità sonora che si verificano nell’ambiente. Anche la tolleranza all’acutezza non è la medesima per tutti. Suoni sgradevoli possono essere ritenuti tali se eccessivamente acuti od eccessivamente gravi a secondo del personale range di tolleranza/intolleranza. Ancora. Anche la tolleranza al timbro è diversa. Il suono delle rotaie di un treno può tranquillamente risultare gradevole ad un orecchio umano maggiormente portato verso una attenzione prevalentemente ritmica, e meno melodica o armonica, del suono. Per tutte queste ragioni ne consegue che il rumore è soggettivo ed è semplicemente una lettura emotiva di un determinato suono (non un qualcosa in antitesi al suono stesso) che varia da individuo a individuo in relazione alle proprie esperienze che hanno determinato il formarsi del proprio “orecchio” musicale la cui diversità, da individuo ad individuo, va salvaguardata, rispettata e educata certamente ma non in una direzione omologante bensì in una direzione che rispetti il valore dell’unicità di un individuo umano.
Fabrizio Fiordiponti