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Martedì 26 Ottobre 2010 08:00

La malsanità di Facebook, la globalizzazione e la Fiat

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La malsanità di Facebook, la globalizzazione e la Fiat

 

Come detto oggi esco definitamente da Facebook, dopo un periodo di ricerca e di studio durato più di un anno (da luglio 2009 ad oggi 26 ottobre 2010). Le motivazioni di questa scelta le ho già rese note e le completo brevemente. Uscirò questa sera, dopo aver reso noto questo articolo sia in facebook sia sul blog di artinsieme.

Facebook viene presentato (visibilmente nei motori di ricerca quali google) come un social network, ossia un contenitore di facce e di profili che, dal punto di vista sociologico, si connettono e comunicano fra di loro, per motivazioni di amicizia, di studio e di lavoro fra persone fisicamente e spazialmente vicine. C’è da chiedersi se la stretta di mano e gli abbracci tra amici siano passati di moda. Se sia necessario isolarsi nel mondo virtuale per comunicare ed esprimere le proprie emozioni ed i propri sentimenti, per sfogare le proprie frustrazioni e per equilibrarsi, in virtù di scelte che, determinate persone senza scrupoli e con il fine della sola ricerca del guadagno, compiono per tutti gli esseri che abitano questo nostro Pianeta, infinitamente degno di essere rispettato e curato esattamente come una migliore mamma potrebbe accudire il suo bimbo appena nato, esattamente come ogni essere umano di questo Pianeta ha il diritto di essere ascoltato e rispettato nelle sue idee, quando queste sono idee superiori nel valore e nella sostanza.

Facebook potrebbe essere passabile per mettere in contatto gente spazialmente e fisicamente lontana, per motivazioni di lavoro, ma l’amicizia senza una passeggiata insieme, non potrà mai essere un’amicizia, ma un’alterazione di una dinamica relazionale che nulla ha a che vedere con la normalità e con la salute individuale e collettiva del sistema.

Inoltre Facebook viene utilizzato per svariati scopi, che con le motivazioni di utilizzo non c’entrano un bel nulla. La solitudine dei diversi propone una innumerevole frequenza di contatti a carattere insano: quali ad esempio gli appuntamenti mordi e fuggi di sesso veloce tra gente che si è dimenticata che per vivere bisogna prima imparare ad essere. Realtà ben presenti non sulle pubbliche bacheche, bensì nei messaggini privati interscambiabili fra gli utenti di tale “social network”. Nelle pubbliche bacheche assistiamo ad un fenomeno di esaltazione, ogni oltre limite e oltre ogni oltre concetto di normalità mentale, del proprio ego e della propria personalità. Ognuno si crede chi sa chi in virtù non di quello che sa o che sa fare, ma in virtù dell’immagine che esso stesso si costruisce agli occhi degli altri. Una volta spento facebook, ciascuna persona torna alla sua triste realtà di solitudine, trovando conforto irreale ed equilibrio in questa droga sociale, cattiva e malsana e realmente da combattere, quando invece se ne combattono altre ed a torto.

Nessuno può andare dal medico a farsi fare una prescrizione di 1 ora al giorno di facebook (in più o in meno) e poi in farmacia ad acquistare 1 ora al giorno di facebook. Potrebbe tuttavia andare dal medico per farsi prescrivere un sedativo od un ansiolitico, naturale quale la marijuana o chimico come altre medicine, e poi acquistarlo in farmacia in modo pulito, corretto, legale e regolamentato.

Invece ciò che passa socialmente per droga da combattere ed in virtù del quale molti giovani vengono realmente perseguitati, è una droghetta da quattro soldi che al pari delle ore che tanti altri giovani passano su facebook (assumendo modalità relazionali e comportamentali falsate e dannose per sé, per gli altri e per i propri equilibri dimensionali psicologici e sociali futuri) fa ridere persino le persone serie che non ridono mai, perché sensibili a tutte le ingiustizie, le malvagità e le anormalità e anomalie illogiche e stupide presenti in questa società.

Facebook è dunque un male. E’ chiaramente un male.

Frutto della paura del terrorismo, che ha portato molta gente ad isolarsi e al non uscire da casa, che ha portato i genitori a limitare e ad impedire le uscite dei propri figli. Frutto della confusione e del disordine tra i sessi e sessuale. Frutto della dilapidazione di tutti i valori etici e morali che ci siamo costruiti dall’origine della nostra specie ad oggi. Frutto delle fobie dell’apocalisse. Frutto della mancata visione corretta di un futuro fatto di benessere psicologico e sociale che non è determinato dal conto in banca altrimenti i ricchi non si drogherebbero di cocaina e non andrebbero a puttane. Frutto della globalizzazione. Qui arriviamo al punto. La conquista del mercato su scala mondiale non considera altro che ragioni economiche in virtù di un concetto di macro sistema economico. Non considera le ragioni dei micro sistemi culturali esistenti sul Pianeta Terra e tutti diversi tra loro. Non considera le ragioni psicologiche e sociologiche individuali e collettivi dei micro sistemi culturali. Non considera i diritti delle persone di questi micro sistemi culturali: il diritto alla vita ed alla salute in primis. Non considera le carte di riferimento di questi sistemi culturali, carte che segnano il progresso di una civiltà verso un corretto vivere e verso il benessere individuale e collettivo. Non considera il rispetto per la dimensione individuale e collettiva della volontà di un micro sistema culturale ad auto determinare il suo modo di voler vivere, di voler essere, di avanzare nel tempo.

La globalizzazione è solo sul piano economico e non culturale. Non si è infatti ancora messa in atto l’intercultura, è stata solo pensata. Intercultura nel senso di rispetto reciproco delle diverse culture, anche nel medesimo spazio vitale e non necessariamente in spazi delimitati da confini ben netti. Intercultura non significa confusione e mescolanza tra razze e culture diverse e annullamento delle tradizioni in virtù di un concetto illusorio di unità che non esiste né in cielo e né in terra poiché le nostre origini, dal punto di vista antropologico e genetico, sono diverse (Darwin dice che siamo tutti africani, ma ci sono tanti altri studiosi che stanno dimostrando che non è detto questo e che ci siano potute essere più specie umane in origine secondo i luoghi e secondo il tempo). L’economia dei pochi va troppo veloce rispetto al tempo necessario affinché psicologicamente e socialmente si creino quelle condizioni adatte affinché il mercato economico possa essere globalizzato. Assistiamo dunque alla crisi, inevitabile poiché i vari campi scientifici (qualora l’economia possa essere considerata una scienza) non procedono tutti nella stessa direzione e con la stessa velocità. Dunque o si allineano questi campi scientifici oppure il risultato sarà una catastrofe morale sicuramente e di salute scientificamente (si assiste già alla follia e questa sarà in crescita esponenziale).

Recenti sono le dichiarazioni di Marchionne: la Fiat senza l’Italia starebbe meglio.

Io vorrei dire a Marchionne, in virtù di queste dichiarazioni, che anche l’Italia senza la Fiat starebbe meglio. Infatti noi non abbiamo scelto di vivere in questo modo. Noi ce ne staremmo stati sicuramente beati e felici nelle campagne seguendo il ciclo del sole, illuminandoci con le candele, coltivando la terra e traendone i prodotti necessari al nostro sostentamento, allevando gli animali e prendendo il latte direttamente dalla mammella di una mucca e non da un cartoncino in brik.

Noi ce ne saremmo stati sicuramente beati e felici giocando per strada, salendo sugli alberi, scoprendo la natura e i suoi segreti.

Noi ce ne saremmo stati sicuramente beati e felici ciascuno a casa sua: chi in montagna, chi in pianura, chi in campagna, chi al mare. A vivere di quello che la natura dona nei luoghi e nelle diverse dimensioni.

Dunque caro Marchionne, se intendi considerare solo le ragioni del bilancio della tua azienda e dimenticarti di tutte le altre ragioni che ho elencato prima, noi saremmo ben felici se tu e la tua Fiat e tutte le altre aziende andassero via dall’Italia. Noi saremmo ben felici di tornare a vivere nella natura.

Il mercato economico, pur essendo su scala globale e considerante i soli interessi nella conquista del mercato, non può non considerare gli interessi e la vita dei singoli micro sistemi culturali. Dunque se sei italiano, segui i principi che sono scritti nella Costituzione italiana, principi che sono la cartina al torna sole del progresso della nostra civiltà. Altrimenti, caro Marchionne, fai le valige e fattene fuori dall’Italia: l’Italia non ha bisogno della Fiat e sono sicuro che tutti gli uomini operai della Fiat non si prendono paura a costruire un campo di grano al posto della tua azienda e di tornare a coltivare la terra, anzi.

Tutto questo, è per Scienza, è la voce della Scienza e che l’economia sappia rispettosamente ascoltarla.

 

Fabrizio Fiordiponti

 

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